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La macroeconomia studia la domanda e l’offerta aggregata e la loro interazione. La domanda aggregata rappresenta la richiesta di beni e servizi dell’economia – determinata dal livello generale dei prezzi – da parte di famiglie, imprese e pubblica amministrazione. L’offerta aggregata esprime invece la quantità di prodotti complessivi che gli imprenditori decidono di realizzare in relazione al livello generale dei prezzi.
Gli studi economici identificano l’imprenditore nella funzione di produzione che esprime la quantità di prodotti ottenibili (Y) – sempre in termini aggregati – dato un determinato impiego di fattori della produzione, ossia capitale (K) e lavoro (L) cui si aggiunge la tecnologia. Secondo questa impostazione – semplicistica ma sufficiente a questo primo livello di analisi – gli imprenditori mirano a produrre una quantità di beni e servizi che gli consenta di ottenere il massimo profitto, dato dalla differenza tra i costi e i ricavi. I costi rappresentano la remunerazione dei fattori della produzione, l’eccedenza, negativa (perdita) o positiva (profitto), esprime il costo-opportunità che spetta all’imprenditore. Va da sé che il suo incasso dipende dal verificarsi di almeno due condizioni: lo svolgimento di un’attività produttiva e la capacità di generare ricavi superiori ai costi. Questo è l’unico soggetto economico mediante cui si determinano i valori dal lato della produzione (Y) in qualsiasi modello macroeconomico. Ne deriva che i fondamentali dell’economia e gli studi sulla interazione fra domanda e offerta aggregata – di beni e servizi e di moneta – risultano di valida applicazione in un mercato in cui si verifica l’esatta identificazione dei soggetti produttori-imprenditori nella funzione di produzione.
L’impresa “economica” coincide con l’impresa “giuridica”?
In Italia, l’art. 2555 del codice civile definisce l’azienda come il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa. La nozione di azienda evoca dunque quella di imprenditore sancita dall’art. 2082 dello stesso codice da cui, per derivazione, si ottiene quella di impresa, appunto giuridica, il cui profilo essenziale è l’attività sorretta dalla nozione di organizzazione. Gli studi in tale ambito hanno messo in evidenza come:
“l’essenza del fenomeno organizzativo è da ritrovare proprio nel suo aspetto dinamico, nel farsi cioè dell’organizzazione, più che nella struttura organizzata: e ciò sia perché quest’ultima è, ovviamente, inscindibilmente legata all’attività (organizzatrice) che ne è all’origine e che continuamente la trasforma, adeguandola alle esigenze per cui l’organizzazione è posta…”[1].
La distinzione fra attività imprenditoriali e non imprenditoriali risiede infatti nell’attività organizzatrice, cui l’art. 2082 attribuisce, attraverso l’espressione “attività organizzata”, valore di elemento normativo indispensabile ai fini della qualificazione dell’attività d’impresa. L’attività organizzatrice deve essere concretamente svolta dall’imprenditore e manifestarsi attraverso la scelta della destinazione funzionale ed organica dei beni che caratterizzano l’azienda, e con la creazione di apparati e l’imposizione di regole che presiedono al suo funzionamento3.
Che significa? Esattamente quello che intendono gli economisti, e cioè che la produzione altro non è che il risultato dell’esercizio del potere di governo sull’attività (organizzatrice) che spetta a un particolare soggetto economico: l’imprenditore. In termini più economici, la trasformazione di singoli componenti in prodotto finito (Y), che avviene mediante una precisa combinazione di fattori della produzione (funzione di K, L, cioè di capitale e lavoro), è espressione di una struttura di impresa che prende corpo attraverso il coordinamento di mezzi e persone voluto da chi la dirige (l’imprenditore, appunto). Per esempio, egli è tenuto a decidere se impiegare 100 operai investendo in 20 macchinari “avanzati” oppure assumere 50 operai in più e mantenere macchinari tecnologicamente meno efficienti; o ancora apportare delle modifiche al prodotto finito per renderlo più appetibile anziché tentare di mantenere le quote di mercato mantenendo le caratteristiche preesistenti. Insomma, la scelta giusta è affare suo, e si dà per scontato che farà di tutto per ottenere il migliore risultato possibile.
Il perché è abbastanza intuitivo, oltre al potere organizzativo, infatti, l’altra caratteristica essenziale ai fini della identificazione giuridica dell’imprenditore è l’assunzione del rischio di impresa, intesa come attribuzione del rischio sul risultato dell’impiego della forza lavoro e dell’utilizzo di mezzi materiali e immateriali destinati all’esercizio dell’impresa. Anche in questo caso si verifica una perfetta coincidenza con l’analisi economica che considera il profitto come il saldo positivo della differenza tra ricavi e costi di produzione (pagamento degli stipendi, acquisto macchinari, ecc.). Vi è, in effetti, una stretta connessione “giuridica” tra il concetto di rischio e il concetto di profitto, quest’ultimo considerato come “la remunerazione non della amministrazione o della coordinazione, ma del rischio e della responsabilità che l’imprenditore (…) si è assunto”[2]. Se il profitto rappresenta la remunerazione del rischio e della responsabilità che l’imprenditore si è assunto, e se l’imputazione della responsabilità e del rischio dipende dall’effettiva direzione dell’impresa, ne deriva che l’utile (o la perdita) prodotto da una società che esercita un’attività imprenditoriale deve essere considerato come il risultato di tale attività. L’aspetto finanziario ha, pertanto, ragione di esistere solo se è strumentale alla creazione di valore reale per l’impresa, e non viceversa.
Estremamente interessante, sotto questo punto di vista, la sintesi proposta da Giorgio Oppo[3], noto giurista italiano, secondo cui esiste un nesso fondamentale che lega governo e imputazione (di responsabilità) della fattispecie imprenditoriale.
Nell’ordinamento dell’Unione Europea la nozione di impresa è un importante parametro di riferimento per l’applicabilità della normativa sulla concorrenza e sull’antitrust[4]. I trattati fondamentali dell’UE non prevedono una definizione, pertanto la sua concettualizzazione si è avuta mediante l’elaborazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia – anche con il contributo delle decisioni adottate dalla Commissione –, la quale precisa che l’impresa “comprende qualsiasi entità che svolge un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento…”[5]. Per attività economica si intende “ogni attività caratterizzata dal fatto di offrire beni o servizi su un determinato mercato”[6]. Anche il rischio d’impresa viene espressamente indicato come elemento qualificatorio dell’impresa[7].
La definizione astratta di “impresa” utilizzata negli Stati Uniti non si discosta in termini concettuali da quella italiana ed Europea: enterprise is “a unit of economic organization or activity, especially a business organization”.
Non vi è pertanto, a un primo livello di analisi giuridica, alcuna incompatibilità fra la nozione, seppur derivata, di impresa giuridica e la nozione di impresa economica, tale per cui si possa dar luogo a distorsioni di mercato.
[1] Cfr. A. NIGRO, imprese commerciali e imprese soggette a registrazione, in P. RESCIGNO (a cura di) Trattato di diritto privato, I, Impresa e lavoro, 2001, 650 (nota 236).
[2] Cfr. G. ALPA, M. BESSONE e V. ZENO-ZENCOVICH, I criteri d’imputazione: colpa, dolo, rischio, in P. RESCIGNO (a cura di), Trattato di diritto privato, Obbligazioni e contratti, 1995, VI, 103.
[3] Cfr., G. OPPO, L’impresa come fattispecie, in Dir. imp., Scritti giuridici, I, Padova, 1992, in particolare 244-246-255.
[4] Per approfondimenti, cfr. Giandonato Caggiano, Il concetto di impresa, in Dizionario sistematico del diritto della concorrenza, Lorenzo F. Pace (a cura di), Iovene, 2013, p. 47 ss.
[5]Causa C-55/96, Job Centre coop. Arl.
[6] Corte di giustizia, sentenza 18 giugno 1998, causa C-35/96.
[7] Sul riferimento al rischio d’impresa di un’attività economica, cfr. Criteri per l’analisi della compatibilità con il mercato interno degli aiuti di Stato destinati a promuovere la realizzazione di importanti progetti di comune interesse europeo, Comunicazione della Commissione, 2014/C 188/02.