Indice

L’espansione delle multinazionali attraverso lo strumento del gruppo di società si è dimostrato essere uno dei principali tasselli delle nuove catene di produzione globale, capace di determinare la struttura dei mercati nonché i margini di azione della politica e degli organi sociali intermedi, come sindacati e rappresentanze imprenditoriali.

L’interesse da parte delle organizzazioni internazionali, come l’OCSE e il FMI, è per lo più di carattere statistico, mentre quello di istituzioni politiche internazionali, qual è l’UE, è principalmente di matrice normativa.

Mantenendo bene o male costante l’approccio interdisciplinare, il presente studio mostra come senza avere definito un adeguato modello teorico economico e giuridico, entrambi gli ambiti di studio subiscono limiti che non possono essere risolti in modo autoreferenziale: il dialogo tra giuristi ed economisti è inevitabile.

Riguardo all’analisi giuridica, la contraddizione terminologica tra autonomia e soggezione al controllo altrui rappresenta un forte limite, poiché banalmente in quanto tale non è risolvibile.

Potrebbe essere di aiuto riportare all’attualità il valore degli approcci teorici incentrati sul concetto di impresa, quindi di nesso tra governo e imputazione di responsabilità imprenditoriale, da considerare come perno per rilevare le anomalie delle varie discipline di gruppo vigenti in diverse parti del mondo.

Sul piano economico occorre prendere piena consapevolezza sul fatto che tale anomalia rappresenti un ostacolo anche per gli studi di settore incentrati sul paradigma classico d’impresa.

Solo di recente si sta pian piano capendo che il modello dell’impresa multinazionale e, conseguentemente, le nuove catene di produzione globale necessitano di un cambio di paradigma nell’ambito del quale non possono essere messi sullo stesso piano gli scambi realizzati da imprese indipendenti e quelli realizzati tra le società di un gruppo societario.

In tal senso, può essere d’aiuto l’idea esposta secondo cui la funzione di produzione di una impresa a società unica è strutturalmente differente dalla funzione dell’impresa di gruppo, che è data dalla sommatoria di distinte funzioni di produzione, tante quante sono le società controllate e in ciascuna di queste la distribuzione dei fattori che determinano produttività, valore aggiunto e profitto è alterata poiché segue la logica organizzativa dell’interesse della controllante.

Su questo aspetto ci sono stati notevoli passi avanti dal punto di vista della rilevazione statistica, principalmente quella condotta dai sopra citati enti internazionali. Ma siamo ancora lontani dalla produzione di dati sufficientemente realistici, tenendo conto che non può esistere una soluzione statistica che non sia anche normativa e una soluzione normativa che non sia anche statistica.

Occorre dunque un modello teorico di base su cui sviluppare nuovi studi e modelli statistici, e si ritiene che la “Teoria dell’Economia apparente a contraente unico” – che è contemporaneamente economica e giuridica – possa assumere questa funzione, poiché il perno del fenomeno è proprio il dato, allo stesso tempo teorico e fattuale, che gli scambi realizzati tra una società controllante e una società controllata siano scambi “falsati”, ovvero passibili di “manipolazione”, poiché compratore e venditore finiscono per coincidere in un unico operatore di mercato, rendendo come più volte detto lo scambio una vera e propria finzione economica.

Continuare a cercare soluzioni teoriche di compromesso, come quella di definire una società eterodiretta una “quasi-società”, è solo controproducente. Bisogna centrate il problema e non girarci attorno.

Partendo da tale assunto, sono state esposte alcune delle più importanti conseguenze di tale nuovo paradigma d’impresa e di scambio, che assumono un valore scientifico e politico davvero straordinario: l’incontrollata manipolazione degli scambi e della fissazione dei relativi prezzi cambia radicalmente l’idea di produttività, l’idea di valore aggiunto e l’idea di profitto date per scontato in ambito scientifico e politico; si verifica una pericolosa alternazione della distribuzione del reddito tra lavoro e capitale, cui segue inevitabilmente una neutralizzazione del potere sindacale e si possono anche innescare, ovvero amplificare, pericolose crisi finanziarie.

Inoltre, come emerso dal lavoro delle istituzioni europee e di altre organizzazioni internazionali si possono agevolmente trarre vantaggi fiscali ingiusti a danno delle istituzioni pubbliche collocando strategicamente le società controllate nella scacchiera mondiale; mentre i rapporti di credito e di debito tra società del gruppo hanno delle conseguenze finanziarie notevoli rispetto ai territori dove queste operano.

Conseguentemente, la “teoria dell’Economia apparente a contraente unico” potrebbe essere usata come modello teorico per costruire statistiche e database quanto più realistici possibile.

A tal fine, si intende proporre un indicatore economico e statistico universale, basato sul modello di funzione di produzione aggregata del gruppo multinazionale.

Una raccolta dati ben studiata con il supporto di obblighi di informazione da parte delle imprese transnazionali di qualsiasi settore produttivo potrebbe condurre alla creazione di banche dati e strumenti tecnologici idonei ad anticipare e magari prevenire le crisi finanziarie.

Senza un’adeguata regolamentazione, l’evoluzione tecnologica amplificherà ancora di più le potenzialità distorsive degli scambi a contraente unico, trascinando sempre più gli stati in una sostanziale impotenza dinanzi all’evolversi del mercato globale.

Gli sviluppi dell’Intelligenza Artificiale (IA) si muoveranno infatti per lo più dentro al modello di impresa globale già in essere, aumentando dunque esponenzialmente i rischi esposti.

Per tali ragioni, appare inoltre chiaro che interventi politici “anti globalizzazione” come i dazi possono sì creare qualche problema organizzativo e finanziario alle imprese di gruppo multinazionali, ma queste con gli strumenti normativi e tecnologici che hanno a disposizione possono più o meno agevolmente scaricare i superiori costi paradossalmente anche agli stessi governi protagonisti della guerra commerciale, e ciò attraverso un mirato riassetto organizzativo di stabilimenti e società, che chi elabora le statistiche può attualmente censire solo ex post.

Bisogna fare anche molta attenzione alle conseguenze sociali e umanitarie derivanti dal riassetto delle catene di produzione globale, che potrebbero essere disastrose nei paesi che a vario titolo sono divenuti o diverranno poco convenienti.

Un altro rischio è quello di innescare, ovvero accelerare, crisi finanziare di cui al momento non è nemmeno possibile prevedere le conseguenze.

Solo la capacità dei governi e dei parlamenti di dialogare per trovare una soluzione statistica e normativa globale può condurre verso una uscita dalla crisi indotta dalla globalizzazione.

Tra l’altro, il momento è delicato poiché siamo appena entrati in una rischiosa fase di transizione sia tecnologica che regolamentare: sbagliare norme o accordi internazionali potrebbe rivelarsi un disastro.


To top