L’impatto delle politiche del lavoro sul disallineamento tra produttività e salari

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In Europa, una delle conseguenze più importanti della grande crisi finanziaria mondiale innescata nel 2007 con il fallimento della Lehman Brothers è stata la perdita del potere di contrattazione dei lavoratori.

L’allentamento delle maglie dei diritti è stato giustificato con l’esigenza di fornire alle imprese maggiore flessibilità e snellezza nel gestire momenti di difficoltà o di crisi vera e propria.

I contratti collettivi hanno incorporato questo ragionamento, subordinando spesso il potere sindacale a obiettivi imprenditoriali, tra cui i più importanti sono l’aumento della produttività e la decentralizzazione della contrattazione collettiva a livello locale, ovvero a livello di singola impresa (o società, nel caso di impresa di gruppo). Con ciò favorendo gli effetti distorsivi dell’economia a contraente unico.

La mancata consapevolezza sugli effetti distorsivi prodotti dall’economia a contraente unico amplifica l’attitudine di tali riforme ad agire non sull’aumento della produttività ma sulla sua redistribuzione tra capitale e lavoro, data, appunto, l’incapacità di definire la reale natura e quantificazione della produttività dell’impresa globale.

In effetti, quella della decentralizzazione della contrattazione collettiva è una vera e propria controtendenza rispetto all’evoluzione di mercati, che sono al contrario sempre più globalizzati, con una influenza via via crescente delle imprese multinazionali. Queste, riuscendosi a presentare come entità frazionate e distinte, possono pertanto sfruttare tale divergenza a proprio favore.


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