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Gli scambi commerciali bidirezionali a contraente unico all’interno dell’impresa di gruppo fanno dunque sì che il valore aggiunto delle attività in essa svolte venga artificiosamente canalizzato in alcune entità legali infragruppo a discapito di altre.
Una delle conseguenze più importanti dell’economia a contraente unico è infatti la dissociazione strutturale tra produttività e distribuzione del reddito da lavoro.
Il caso più intuitivo è quello delle attività labour intensive realizzate dalle società controllate e rese in favore di altre società collegate, in genere la capogruppo. In tal caso, le società controllate vestono formalmente i panni di fornitori nei confronti della propria controllante, impiegando prevalentemente forza lavoro per l’esecuzione di attività volte, per esempio, alla realizzazione di servizi come il customer care, il back office, attività di carattere amministrativo e contabile o, ancora, il lavoro svolto dai riders. In verità, tali attività non sono labour intensive, poiché per la loro realizzazione è necessario impiegare costose infrastrutture tecnologiche, che inglobano in sé il know how della catena di produzione in cui è impiegata la manodopera.
Essendo la tecnologia e gli altri elementi che creano valore aggiunto gestiti da altre società del gruppo, accade che quella che fornisce manodopera non è in grado di produrre realmente il servizio – a esempio di customer care –, ma deve necessariamente ricorrere agli altri fattori della produzione di cui dispongono altre società dell’impresa di gruppo di cui fa parte. Questo genera formalmente uno o più scambi, il cui contraente è la società controllante (o altra società infragruppo), la quale ha tutto l’interesse a far assumere formalmente la manodopera alla controllata, così da pagarla il meno possibile.
Ne deriva una distribuzione del numero dei lavoratori tra le società del gruppo funzionale al raggiungimento di tale obiettivo. Le asimmetrie delle funzioni di produzione delle singole società del gruppo sono tanto maggiori quanto più elevata è la capacità della controllante di sfruttare tale strategia organizzativa.
Possedendo la tecnologia e il potere di controllo societario, il raggiungimento di tale obiettivo è un compito piuttosto semplice. E’ sufficiente, infatti, che la controllante fissi in modo unilaterale – in ragione del controllo esercitato – un prezzo della fornitura di manodopera appena sufficiente a pagare gli stipendi, fornendo essa stessa, gratuitamente o a titolo oneroso, gli altri mezzi necessari per la realizzazione delle attività. In tal modo, i miglioramenti della conoscenza e della tecnica dell’impresa di gruppo nel suo complesso non vengono trasposti al fattore lavoro. In altri termini, la produttività del lavoro viene artificiosamente ridotta mediante la sottrazione di valore aggiunto alla società fornitrice di manodopera.
Se la manodopera è collocata in paesi dove il sistema di tutele del lavoro è forte, vi è l’interesse da parte della holding a far sì che ciò si verifichi (appunto la sottrazione di valore aggiunto), proprio per evitare pressioni normative o sindacali finalizzate a una più equa distribuzione della ricchezza prodotta.
Il controllo e la direzione tecnico-organizzativa delle attività svolte dalle consociate è fondamentale per potere interferire sulla distribuzione del valore aggiunto. A seconda degli input intermediati e dell’assetto normativo del paese ospitante, la massimizzazione dell’accumulazione con il metodo dello scambio a contraente unico si manifesta con gradi e intensità differenti: tanto minore è la capacità della «cabina di regia» del gruppo di controllare a distanza le attività, tanto maggiore è il grado di autonomia dei responsabili preposti alla gestione delle società controllate all’estero.